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C’era un tempo in cui l’America era un faro. Un tempo in cui lo sguardo si alzava verso le stelle e si trovava un sogno, un’idea, un ideale. Un tempo in cui la parola “libertà” non era solo un concetto astratto, ma una promessa incisa nel marmo e nel cuore della sua gente. Oggi, mentre il vento soffia sulle strade polverose della Route 66 e scuote le bandiere sbiadite sulle facciate delle città fantasma, viene da chiedersi: dov’è finita quell’America?

Me la raccontava mio nonno che aveva vissuto la Seconda Guerra Mondiale e che aveva visto arrivare gli “Yankee” con i loro Levi’s 501 prima che la società iniziasse a desiderare di farli tornare a casa, e poi va’ detto; stiamo davvero riuscendo a vederli tornare a casa.

Ma nel loro andarsene, si stanno portando via un pezzo di mondo, un pezzo di sogno, anche il mio sogno, quello iniziato proprio grazie ai racconti di mio nonno.
Quelli che non hanno mai amato l’America sorridono compiaciuti, mentre altri, quelli come me che l’hanno amata anche nei suoi difetti, restano in silenzio, con il cuore colmo di nostalgia e preoccupazione. E allora, per chi sente questa assenza, per chi ricorda l’America come un luogo di battaglie giuste e sbagliate e sogni audaci, ecco un viaggio attraverso la sua storia e il suo spirito, così come l’ho conosciuto io.
Ecco il mio viaggio negli Stati Uniti d’America che stanno scomparendo:

Le Radici di un Sogno: La Libertà Nata nella Rivoluzione

Tutto inizia nel 1776, quando un gruppo di uomini coraggiosi firma la Dichiarazione d’Indipendenza. “Tutti gli uomini sono creati uguali”, scrivono, affermando il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Nasce una nazione che non si accontenta di esistere, ma vuole ispirare. La Costituzione più bella del mondo segue nel 1787, con il Quinto Emendamento che diventa un simbolo: “Mi appello al Quinto Emendamento”, diranno più tardi i film e i processi televisivi, cristallizzando il diritto alla difesa e alla giustizia.

L’America cresce e si espande. La frontiera avanza con pionieri e cercatori d’oro, mentre il sogno di una terra promessa alimenta il mito della conquista del West. Ma quel sogno ha un lato oscuro: la schiavitù, una ferita aperta che porta alla Guerra Civile. Nel 1865, Abraham Lincoln abolisce la schiavitù, non senza compromessi politici. I soldati nordisti cadono sui campi di battaglia, il sangue si mescola alla terra, ma alla fine la nazione si ricompone. “Nati il 4 di luglio”, canta un giorno Bruce Springsteen, ed è più di una data: è un giuramento, un destino.

Ma ben prima del 4 luglio lo sterminio di chi in quelle terre ci viveva da sempre, si parla di 50/100 milioni di Nativi Americani massacrati nel nome di quella conquista territoriale ancora oggi attuale. Non se ne conosce neanche il numero esatto come se si parlasse di granelli di sabbia dispersi nel deserto.

Il 1° marzo 1872 nasce Yellowstone, il primo Parco Nazionale al mondo che vidi in un documentario al cinema e che mi fece innamorare della natura americana ben prima della serie con Kevin Costner. Lo stesso parco che oggi sembra ingombrante e rischia tagli e chiusure di servizi; già nel frattempo i parchi nazionali sono diventati 63 e danno lavoro a miglia di persone con un giro d’affari annuale che sfiora i 50 miliardi di dollari.

La Lotta per la Libertà: Dalla Seconda Guerra Mondiale alla Guerra Fredda

Arriva il 1941. Il cielo di Pearl Harbor si riempie di fumo nero. L’America entra in guerra e, quattro anni dopo, i suoi soldati sbarcano sulle spiagge della Normandia. Sono ragazzi con il cuore pieno di paura e coraggio, figli di un continente lontano che si riversano in Europa per liberarla. “Salvate il soldato Ryan” non è solo un film, è il tributo a duemila giovani morti per un mondo migliore.

Ma prima di quello sbarco visto in innumerevoli film, arrivarono nelle coste italiane per liberare Roma e dar voce ai racconti di mio nonno.

Poi, nel 1961, c’è Kennedy davanti al Muro di Berlino: “Ich bin ein Berliner”. E la folla applaude. La Guerra Fredda è un duello tra ideologie, e l’America combatte anche con l’arte: si dice che la CIA abbia finanziato Andy Warhol e Roy Lichtenstein per dimostrare che in Occidente l’arte è libera, mentre dietro la Cortina di Ferro è solo propaganda. Intanto, nel 1969, gli astronauti americani sbarcano sulla Luna. “Un piccolo passo per un uomo, un grande balzo per l’umanità”, dice Neil Armstrong. L’America non vuole solo vincere le guerre: vuole toccare le stelle. Magari qualcuno non crede che siano arrivati fin sulla luna, ma chi se ne frega, io ci credo!

Cultura e Ribellione: L’America degli Anni ’60 e ’70

La cultura americana non è solo politica, è musica, cinema, letteratura. C’è il jazz rivoluzionario di Charlie Parker, le chitarre di Bob Dylan che cantano la protesta, Aretha Franklin che intona “Respect”, mentre i diritti civili diventano la battaglia di Martin Luther King e Rosa Parks sfida il razzismo su un autobus di Montgomery. Malcom X veniva assassinato dalle sue stesse parole ad Harlem.

Nel 1969, la rivolta di Stonewall segna l’inizio del movimento LGBTQ+, mentre a Woodstock migliaia di giovani gridano pace e amore sotto un cielo carico di pioggia e sogni psichedelici. Nel cinema, Marlon Brando sussurra “Ti farò un’offerta che non potrai rifiutare” e nasce un mito. “Easy Rider” attraversa le strade dell’America profonda, mentre Clint Eastwood ride sotto il cappello di un cowboy. Quelle moto rabbiose cavalcate da Wyatt e Bill sono anche il mio sogno.

Hollywood, con il ruggito del leone della MGM, i disegni di Walt Disney prima e della Pixar poi. Il sogno americano sul grande schermo. Orson Welles e il suo scherzo radiofonico. Casablanca, Taxi Driver, Provaci ancora, Sam. I fratelli Coen, David Lynch, Twin Peaks e l’invenzione delle serie tv. House of Cards e tutto il caos di molestie vere e presunte di quel periodo. Passando per “I Goonies” e le decine di film di Steven Spielberg e Sylvester Stallone.

Steve Jobs e Bill Gates che trasformano il mondo con Apple e Microsoft. Il garage dove nasce Amazon. E l’idea di umiliare una ragazza che si era negata a Zuckerberg, diventato un impero digitale chiamato prima Facebook, poi Meta. I computer di casa. Il MIT.

Le Lucky Strike. Le Chesterfield. Le camicie Brooks Brothers. I taxi gialli. Il braccio alzato per fermarne uno con il classico “Segua quella macchina”. La gomma del ponte, a no, questa è tutta nostra, ma ci piace pensare che venisse da New York.

Ma l’America ha anche i suoi fantasmi. C’è il Vietnam, il dolore di una generazione perduta, raccontato in “Good morning, Vietnam” e “Platoon” a seconda di quello che amate di più, oppure ne ““Il Cacciatore”. C’è lo scandalo Watergate, che il Washington Post porta alla luce, mostrando che nessuno, nemmeno un presidente, è sopra la legge. E ci sono le Twin Towers che crollano sotto gli occhi di un mondo incredulo. “Siamo tutti americani”, dicono in Europa. Ma dura solo pochi giorni.

Il Declino di un Sogno?

L’America ha sempre avuto il suo lato oscuro. La fine del proibizionismo aveva tolto affari alla mafia, ma aveva dato loro nuovi mercati. Reagan dichiarava guerra all’Impero del Male e tutti ridevano, fino a quando l’Unione Sovietica non collassò davvero. I Navy Seals uccidono Osama Bin Laden, ma poi abbandonano Kabul ai talebani, ormai si erano presi quello che volevano ed era inutile restare secondo chi governava in quel momento in USA.
Il sogno americano è stato tradito?
O è solo cambiato?

Oggi, mentre le statue di Cristoforo Colombo vengono abbattute, mentre Harvard e Stanford cadono sotto il peso di nuove ideologie, mentre le basi NATO diventano un dibattito politico, si sente il vuoto di quell’America che fu. Quella dell’ottimismo reaganiano, della corsa allo spazio, dei taxi gialli e della mano sul cuore quando parte l’inno.

Ma il sogno americano non muore mai del tutto. Sopravvive nei film, nella letteratura, nelle note delle canzoni. Sopravvive nelle strade di New York che accolgono chiunque voglia provarci, nelle highway che portano a nuove possibilità, nei diner illuminati da neon colorati dove qualcuno scrive il prossimo grande romanzo americano. Nella Route 66 che tanto amo, insieme a tutti gli altri riferimenti ideologici dell’America che ha cambiato la mia vita.

Ma forse ho capito tutto; in fondo, l’America non è un luogo. È un’idea. E finché ci sarà qualcuno pronto a inseguire un sogno, quell’idea continuerà a vivere.

Ma adesso sono arrivate ideologie di divisione, di esclusione (il contrario di inclusione),il business prima di tutto, di ideologie non scritte in quella costituzione definita la più bella del mondo.

Quindi oggi più che mai “God bless America”, anzi no, “God bless us all”.

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