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Tangeri, questa città portuale nordafricana, situata su un lembo di terra al confine fra Mar Mediterraneo e Oceano Atlantico, fra il suolo africano e lo stretto di Gibilterra, è una città di contrasti.

Camminando per la Medina si ha la sensazione di essere in Arabia, con i bazar, i colori saturi e i simpatici e mai invadenti venditori che tuttavia cercano di spingerti all’interno del loro negozio, mentre ti raccontano con un gran sorriso in volto di conoscere Bergamo, di avere un amico di Roma, di essere stati a Napoli. Chissà, poi, se sia vero. E poi c’è la Kasbah – la zona più alta e fortificata della Medina – nella quale ci si può perdere un’intera giornata camminandovi, scoprendo viuzze e piccole moschee nascoste, fotografando portoni finemente decorati in ferro battuto, o imbattendosi in decine di gatti randagi che semplicemente dormono placidi sul ciglio della strada, dando la sensazione che nulla li possa toccare o interessare. Non esiste viaggio a Tangeri, o in qualunque città mediorientale, senza un’immersione completa, anche a costo di perdersi (come è successo a me) all’interno dei vicoli di quello che potremmo definire come il loro “centro storico”. Dimenticatevi Google Maps (a meno che non dobbiate uscirne e non sappiate come fare). Lasciatevi piuttosto trasportare, date libertà alla vostra immaginazione e curiosità, fatevi ispirare dalle case, dai colori, dai profumi, seguite un gatto che cammina e vedete dove vi porta. Insomma: nessuna imposizione preconcetta. Non dimenticate di parlare con i locali, e magari salutateli con il Salam Aleikum, cosa che farà loro sicuramente piacere.

E poi c’è il lungo mare curatissimo. L’erba viene tagliata ogni giorno, non ci sono rifiuti per terra, le palme abbondano e, mentre camminerete qui assorbendo la luce e il vento atlantico, fermatevi in uno dei tanti cafè per un tè alla menta, che vi verrà servito bollente e sarà da bere rigorosamente dolcissimo. Ne diventerete dipendenti!

Chi viene a Tangeri viene alla vita. E’ una città densa, in ogni senso della parola. Densa di vita e di persone, di voglia di parlare e di raccontare, dunque densa di cantastorie. Ma anche densa di mercati nonché in alcune zone densa di povertà. E poi ci sono i contrasti che, se da un lato potevo aspettarmi di trovarli, mi hanno comunque colpito il cuore: in Marocco infatti, per essere uno degli stati musulmani più moderati, ho potuto incrociare moltissime donne che indossavano il velo integrale. E pur non volendo cadere in un giudizio o, peggio ancora, in un pregiudizio, questo mi ha, se non turbato, certamente imposto una riflessione, ricordandomi che non esiste un’unica storia, e che per comprendere quelle degli altri, viaggiare è il modo migliore, ancor più della lettura.

Tangeri per me è stata un’esperienza forte, entusiasmante ma soprattutto necessaria, poiché sentivo il bisogno di vivere qualcosa che fosse distante dalle nostre così tipiche, così iconiche, ma anche tutte così simili, capitali europee.

Il colore di Marrakech è il rosso. Il colore dei palazzi di Tangeri è invece il bianco, e ben si addice a ciò che io ho provato e vissuto. Qui mi sono sentito rinascere, ma soprattutto rimesso in gioco – nonostante, o forse proprio per le difficoltà che ho incontrato – come essere umano e come viaggiatore che tanto ama scoprire e immedesimarsi nel luogo in cui si trova.

In fondo potremmo dire che Tangeri ha in sé il profumo della porta d’ingresso all’Africa, senza toglierli un po’ di sapore europeo.

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