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Linus Squarza, è un personaggio conosciutissimo da tutti gli italiani amanti della Route 66; ha dato vita alla Route 66 Association in Italy, ma sopratutto è un caro amico che ha dedicato parte del suo tempo a scrivere la prefazione, stupenda, della pubblicazione Route 66 il Mito Americano. Ideatore della pagina Facebook Quelli che la Route 66… si racconta in questa intervista, parlando di se, della sua vita e ovviamente della Mother Road. A differenza del solito lascio direttamente a lui la parola:

“Sono nato intorno alla metà del secolo scorso nella riva parmense del grande fiume Po. Tutto intorno era pianura sterminata, il picco più alto era l’argine maestro del fiume. Qualche volta si potevano vedere da lontano le cime innevate delle Alpi ma quasi sempre la foschia e la nebbia rendevano misterioso ed affascinante il mondo intorno. Forse così nacque in me la voglia di esplorarlo.
Scuole regolari, Liceo e poi l’Università a Bologna. Avevo una gran passione per le radio e le antenne, le costruivo per comunicare con persone dall’altra parte del mondo, era un modo di viaggiare anche quello. Volevo laurearmi in Telecomunicazioni ma mi innamorai della matematica e deviai su Sistemi di Controllo e Automazione. Servizio militare terribile e poi il primo lavoro in una Banca, Centro Contabile, insomma alle prese con i primi enormi computer IBM, “The Bg Blue”.

Ci resistetti meno di tre anni ma imparai molto da loro. Mi dedicai invece allo studio e sperimentazione con i primi microprocessori, cercando di applicarli nell’automazione industriale. Intanto nasceva il primo Apple e allora decisi che dovevo andare in America, la Silicon Valley era la Mecca, il futuro. E così fu. Prima a Reno, Nevada a progettare Slot Machine a microchip, poi San Francisco e la Silicon.
Ma mi mancava il sole e allora arrivai a Los Angeles. Vivevo a metà tra USA e Italia, tornavo per applicare qui cosa avevo imparato e creai una società per questo. Ma sia qui che oltre oceano appena potevo scappavo ad esplorare le strade e la 66 fu una delle prime a coinvolgermi.

Nei primi anni ’90 non era molto nota nemmeno agli americani, io ci arrivai cercando di capire perché mai i distributori Phillips 66 avessero quel numero. Non c’era Internet e le ricerche si facevano nelle Public Library.
Creai nel 1995 il primo sito web italiano dedicato alla Mother Road e poi….. il resto della storia la conoscete.
Ci sono poche strade ad ovest del Mississippi che non abbia esplorato ma ancora non ho finito.

Ecco qui le sue esaustive e dettagliate risposte:

1. Cosa è per te la Route 66?

Una amica, affettuosa e fedele compagna dei miei vagabondaggi nel West. Certo, molto spesso negli ultimi decenni l’ho tradita, scappando da lei nel sud dell’Arizona, in Utah, Texas ma soprattutto in Nevada.
Ma poi tornavo sempre da lei per sentirmi a casa, tranquillo e rilassato. Si, direi che la sento come casa mia, tra amici.

2. Se pensi a questa strada quale è la prima cosa che ti viene in mente?

Penso agli spazi immensi, alle strade che non finiscono all’orizzonte, al sole che ti abbaglia al tramonto andando verso l’oceano.
Penso alle migliaia di miglia percorse sognando la California.
Penso alle persone che ci ho conosciuto, molte ormai scomparse ma sempre presenti per me lungo il suo asfalto.
Penso che ogni volta sul molo di Santa Monica mi ritorna la voglia di ricominciare.

3. Hai un aneddoto curioso legato alla Route 66, una storia che vuoi condividere con noi?

A metà degli anni ’90 capitai ad Hackberry, Az, allora molto diversa da oggi e conobbi Bob Waldmire.
Fu una sorpresa, un artista visionario che si era proposto di crearvi una stazione informativa per i viaggiatori della 66. Ecologista e vegetariano al massimo, rifiutava però l’uso di tecnologie moderne, per questo aveva ricavato a lato una specie di serra componendo finestre di recupero dove coltivava il suo orto.
Ma d’inverno il freddo lo impediva e d’estate anche peggio. Quando scoprì che ero ingegnere mi coinvolse nel progetto anche se io come elettronico senza elettricità potevo fare poco.

Mi trattenne tutto il giorno e ci ritornai spesso negli anni successivi. Per inciso io gli consigliai di mettere nella serra grosse pietre dipinte di bianco da un lato e di nero dall’altro. Il bianco era per l’estate onde evitare che l’ambiente diventasse un forno ed esporre il lato nero d’inverno per catturare invece tutto il calore del sole.
Altro non avrei saputo dire e la cosa in qualche modo funzionò. Non potevamo essere più diversi, per nascita, cultura, istruzione ma incredibilmente sentivamo di avere molto in comune. Forse i sogni, quelli sono uguali sotto ogni cielo.

Da quando se ne andò da Hackberry nel 1998 ci vedemmo raramente ma sono riuscito a salutarlo a Springfield Illinois alla fine del 2009 quando ci lasciò. Ci rivedremo Bob prima o poi e finiremo quel progetto insieme. Ce lo siamo promessi.

4. Quale è il tuo luogo preferito lungo la Route 66?

I luoghi che ho preferito sono stati tanti.
All’inizio il tratto in Arizona e California, evidentemente avevo visto troppi film western da piccolo.
Poi, mano a mano che passava il tempo, il palato si è fatto più raffinato, i cieli del New Mexico mi hanno affascinato, i pueblo indiani e gli artisti che lo abitano mi hanno preso.
Santa Fe, Taos e Albuquerque sono i luoghi che mi intrigano di più. Oggi, domani chissà.

5. Se pensi a un film, a una canzone e a un libro legato alla Route 66, quale ti viene in mente?

Film?
Sicuramente Bagdad Cafè di Percy Adlon.
Il titolo originale “Out of Rosenheim” rende meglio il tema della fuga dal mondo che ci tiene prigionieri verso un luogo in mezzo al deserto tra persone arrivate da non si sa dove e perché, tra le quali uno strepitoso Jack Palance da vecchio.
Per me è’ curioso come solo un regista tedesco, quindi europeo, abbia saputo cogliere il senso vero del West, del deserto Mojave e del suo silenzio.
Come il nostro Sergio Leone per l’epopea western. Forse quel mondo, visto da lontano, diventa più facile da capire.

Aggiungerei ovviamente anche Easy Rider. Appena posso passo a salutare Dennis Hopper, regista ed interprete del film, nella sua piccola tomba in uno sperduto cimitero indiano vicino a Taos. Fatelo anche voi, merita.

I libri mitici della 66 li ho letti tempo fa ma non sono riusciti a coinvolgermi. Troppo lontani dal mio modo di vivere il viaggio.

Una canzone ? California dreamin’ seppure molto invecchiata mi ricorda ancora il mio primo viaggio sulla Mother Road.

6. Che consiglio daresti a chi vuole intraprendere un viaggio nella Route 66 da Chicago a Santa Monica?

La Route 66 non è a senso unico quindi nulla vieta di percorrerla da Santa Monica a Chicago.
Ma in America viaggiare verso ovest ha sempre comunicato un senso di avventura, di rinascita, di scoperta, dal freddo dei Grandi Laghi al sole della California è più emozionante. Fate come volete.

Un consiglio?
Se vi munite della guida di Roberto non perderete nulla della Mother Road, tranquilli. Io vi consiglierei però qualche volta di perdervi, di seguire il vostro istinto, di farvi affascinare da un cartello dal nome intrigante.
Forse perderete qualcosa di noto ma scoprirete magari qualcosa di vostro, solo vostro, da non dimenticare più.

Siate disponibili, non siete voi che trovate le cose, sono loro che trovano voi. 

Qui sotto altre 3 splendide foto di Linus presidente della Route 66 Association in Italy che ringrazio per aver aderito a questo progetto di promozione della Mother Road in Italia “6 questions, 6 answers about Route 66“. Nessuno meglio di lui ha potuto trasmettere il vero senso della strada 66, come ama chiamala lui, a noi viaggiatori italiani attratti dal made in USA.

Grazie Linus, ci vediamo lungo la strada…


 

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