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Laguna Pueblo

Ho conosciuto Luca sui social network e come spesso accade, quando una passione o un desiderio sono condivisi, è semplice che nasca un’amicizia.
Infatti dopo alcuni scambi di informazioni sul libro Route 66 il Mito Americano, Luca in compagnia della sua famiglia è partito per un On the Road che ha visto la sua auto attraversare anche una buona parte di Mother Road, viaggio che lo stesso Luca ci racconta in questo articolo ben scritto, dettagliato ed emozionante, ma prima una piccola intervista per conoscere meglio Luca e la sua splendida famiglia On the Road:

  • Ciao Luca, so che abiti ad Atlanta, vuoi raccontarci brevemente come sei arrivato in questa splendida città e come nasce il tuo amore per gli Stati Uniti d’America?
    “Diciamo che il sogno americano, declinato nel mio caso non in senso lavorativo ma nel senso di viaggiare in lungo e largo per lande desolate, canyon mirabolanti, cascate maestose, terre incontaminate e poi coast to coast, la Route 66, le Montagne Rocciose e i Grandi Laghi… questo tipo di sogno ce l’ho sempre avuto. Del resto amo viaggiare sin da quando sono piccolo e ho coltivato questa mia passione “allenandomi” dapprima in Italia poi anche in Europa. Quindi gli Stati Uniti rappresentavano un po’ il naturale approdo.
    Tuttavia mi son trasferito qui in US per una combinazione astrale favorevole che ha messo assieme esigenze familiare con quelle lavorative. Infatti l’azienda per la quale lavoro è una multinazionale con varie sedi anche negli Stati Uniti e già dal 2011 c’è stata la possibilità di essere trasferito. Ma solo nel 2016 la vera occasione è arrivata, quando mi hanno proposto un trasferimento permanente in Georgia, a 50 km da Atlanta. Sapevano infatti che mia moglie Karina, che avevo sposato nel 2013, era americana, oltre che italiana e brasiliana (tre passaporti mia moglie!!!) ed era ben felice di tornare negli Stati Uniti dopo quattro anni trascorsi a Milano.
    E così, nell’agosto del 2016 ci siamo trasferiti, io, Karina e la mia prima figlia Francesca Aurora, qui ad Alpharetta, una splendida cittadina situata 50 km a Nord di Atlanta. La seconda figlia, Sophia Emily è nata dopo un anno esatto dal trasferimento.”
  • La tua passione proviene quindi da lontano e per certi versi ti ha portato a vivere in USA. Cosa ti ha colpito di più del vivere in America?
    Quella cosa che più di tutte secondo te esprime l’essenza della cultura americana.
    “Molte cose ma credo di poterne mettere in evidenza tre:
    – il culto della 
    libertà  in ogni singolo aspetto della vita e l’assoluto disinteresse del giudizio altrui, forse noi italiani siamo prigionieri di questo e per questo non capiamo o ci sembrano strani gli americani, quasi sciatti a volte.
    – il monetizzare tutto e la capacita’ di fare business sfruttando il minimo dettaglio naturalistico.
    – l’industria del food praticamente aperta 24/24 – 365/365 e intendere in generale il cibo come “carburante necessario” e quasi mai come piacere della vita, cosa che invece noi italiani facciamo.”
  • Venendo al tuo viaggio, ho visto che hai percorso una buona parte di Route 66, un viaggio che ti ha portato a toccare con mano quello che è lo spirito della Mother Road, tra l’altro in tratti davvero molto significativi. Puoi descriverci le tue sensazioni, cosa ti ha colpito di più e cosa rimarrà per sempre nel tuo cuore?
    “Gli spazi sconfinati, i paesaggi lunari e quelli tipici dei film Western. Per non parlare dei rettilinei infiniti di AZ, NM e CA. Percorrerla poi in un periodo dell’anno non molto caldo e per di più’ nell’era Covid, ha comportato il fatto che ci fosse scarso traffico e si potesse respirare ancora meglio il mito dei viaggi della speranza del passato, quando tantissime persone hanno sfidato km e km di strada per il sogno californiano…
    Credo comunque che quello che mi rimarra’ piu’ impresso nel cuore e’ il tratto Kingman-Barstow: deserto/montagna/deserto.”
  • Anche tu come me hai apprezzato il senso di libertà e gli spazi sconfinati che ben racconti nel tuo appassionante resoconto. Nonostante il COVID sei riuscito a fare un viaggio intenso e ricco di emozioni. Stai già programmando una nuova avventura per i prossimi mesi?
    Se si quale è il tuo prossimo sogno On the Road?

    “Be’, ci sarebbe sicuramente l’idea di percorrere la restante parte della Route 66 da Chicago a Oklahoma City che non abbiamo fatto e poi il Colorado, lo Utah, la zona dei Grandi Parchi, l’intera costa Pacifica, e quella Atlantica… probabilmente questa volta in camper.”
  • Wow, che grande idea il camper, è un mezzo molto usato in America, in tutti gli on the road che ho fatto ne ho incontrati tanti.
    So che hai usato il mio libro per aiutarti a percorrere la Route 66, ti ringrazio anche per averlo omaggiato con la tua foto del salto nei pressi del logo, il punto esatto dove l’ho scattata anche io.
    Come ti sei trovato con questo libro e in generale come è stata la tua esperienza nel percorrere la Route 66?

    Hai avuto difficoltà oppure è stato tutto affascinate ed emozionate come ti aspettavi?
    “E’ stato tutto estremamente facile anche grazie alla tua guida che mi ha consentito di pianificare molti giorni prima esattamente il percorso e le tappe che poi ho fatto.
    Mi son ritrovato perfettamente non solo nelle descrizioni che hai inserito nella guida ma in molte delle sensazioni che hai provato, provandole io stesso quando ripercorrevo i tratti descritti e mi fermavo nei posti suggeriti…
    Tutto tranne il caldo che invece pare hai provato tu avendo percorso la Mother Route in un periodo decisamente più caldo rispetto a quanto invece fatto da me.”

Mojave Desert (Amboy)

Questo viaggio è stato programmato in poco meno di un mese partendo dalla sintesi di due differenti istanze: quello di andare a trovare dei nostri amici a Los Angeles, e passare assieme la settimana di Thanksgiving con loro, e quello di coronare un mio vecchio sogno, ovvero di percorrere, anche se solo in parte, la famosissima Route 66. Abbiamo così deciso, io e mia moglie, di “prendere due piccioni con una sola fava” e realizzare questa mezza pazzia. Sì perché a rendere pazzo il tutto han contribuito vari fattori:

  • fare il percorso in 6 giorni cercando di vedere più cose possibili, il che ha significato più di 48 ore nette in auto per 2685 miglia (4321 km!), un minivan da 7 posto per la precisione
  • farlo con due bimbe piccole, abituate sì a belle sgaloppate in auto ma di certo non ad una come questa
  • fare il percorso inverso da solo in 2 giorni per necessità (ferie finite!), avendo spedito il giorno prima moglie e figlie in Georgia via aereo, per risparmiare loro una bella faticaccia.

Per fortuna tutto è andato bene, le bimbe e la moglie si sono divertite e per me il ritorno da solo (questa volta tutto via autostrada) è stato tutto fuorché un’ammazzata. Anche se, guidare per 28 ore e mezzo e 2220 miglia (3573 km!) divise in due giorni di guida da, rispettivamente, 13 ore e mezzo e 15 ore, intervallate da una notte in albergo in zona Amarillo (Texas), sono state comunque abbastanza impegnative.

C’è da dire che, visto il limitato tempo a disposizione e le varie restrizioni dovute al Covid, abbiam preferito evitare musei, negozi, grosse città e ogni tipo di attrazione “al chiuso”, prediligendo invece panorami e bellezze naturalistiche.

Ma veniamo al viaggio di andata.

Giorno 1 – Giovedì 19 novembre 2020 – Alpharetta (GA) – Fort Smith (AR), 710 miglia, circa 10 ore e mezzo nette.

Il primo giorno è servito ad avvicinarci più che mai alla Route 66, sfruttando le energie fresche. Tutto percorso autostradale, attraversando le colline e le pianure della Georgia e dell’Alabama, il piattume del Mississippi, un angolo di Tennessee giusto per attraversare la famosissima Memphis e dunque in Arkansas. Piccole pause fisiologiche, soprattutto per le bimbe, qualche snack e pausa cena nella piacevolissima Little Rock. Infine altre due ore circa lungo la I-40 per raggiungere Fort Smith, collocata quasi al confine con l’Oklahoma.

Giorno 2 – Venerdì 20 novembre 2020 – Fort Smith (AR)  – Amarillo (TX), 475 miglia, circa 9 ore nette.

Dopo una breve sosta da Starbucks, dal momento che l’hotel non forniva colazione causa Covid, riprendiamo l’I-40 verso Ovest. Una manciata di minuti ed entriamo in Oklahoma. La I-40 corre quasi sempre dritta e, dopo circa 2 ore e a 35 miglia circa da Okla City, decido di uscire e puntare verso Nord per intercettare la Route 66. Così finalmente arriva l’agognato incrocio e con esso il primo cartello che indica la Mother Route. Giriamo quindi a sinistra, verso Ovest, e iniziamo quindi a percorrerla. Poche miglia e ci fermiamo al famosissimo Arcadia Pops 66 per pranzare e fare le foto di rito con l’iconica mega-bottiglia sullo sfondo. Peccato fosse giorno e non averla vista illuminata con le famose lampade al neon. Proseguiamo dunque lungo la Route 66 ma, non avendo voglia di fermarci in città (Okla City), decidiamo di abbandonarla per un po’ in favore delle più scorrevoli highway a due carreggiate, per poi riprenderla dopo poco una volta scemato il traffico cittadino. Attraversiamo quindi El Reno e proseguiamo verso la storica stazione di servizio di Lucille, ben conservata e che merita sicuramente una sosta per un paio di foto. Da qui la Route 66 corre parallela alla I-40 e spesso si confonde in essa per miglia e miglia, attraversando distese di nulla costellato di tantissime pale eoliche che, alla luce del tramonto, sono uno spettacolo favoloso. Praticamente fino al Texas e oltre. La Route 66 ogni tanto conserva la sua indipendenza dalla I-40, attraversando piccoli borghi come Elk City, Sayre, Erick e quindi Texola, una città fantasma situata praticamente al confine con il Texas.

Una decina di miglia e ci fermiamo a Shamrock presso la Tower Station e l’U-Drop Inn Café. Il complesso merita sicuramente delle foto sia per la particolare architettura che per l’illuminazione al neon che l’ha reso famoso negli anni. E’ ormai buio e comunque fino ad Amarillo pochissimi sono i tratti vecchi della Route 66 da poter percorrere, per cui ci incamminiamo lungo la I-40, usciamo per fermarci un attimo a Mc Lean presso la stazione di servizio Phillips 66 ben ristrutturata, intravediamo la famosa croce illuminata di Groom e dopo quasi un’ora arriviamo ad Amarillo, presso il famosissimo Big Texan Steak Ranch. Miracolosamente troviamo una stanza carinissima per pernottare (era tutto sold out!), ci cambiamo e via di corsa al ristorante adiacente dove mangiamo in maniera divina. Non ho optato per il famoso “72 oz steak challenge” per paura di sentirmi male ☺.

Giorno 3 – Sabato 21 novembre 2020 – Amarillo (TX)  – Gallup (NM), 465 miglia, circa 8 ore nette.

Come il giorno precedente, optiamo per una colazione (drive through) da Starbucks che ci consenta di arrivare fino a sera contando solo su qualche snack e frutta a volontà. Poco fuori Amarillo ci fermiamo al Cadillac Ranch, la mattinata è brumosa e freddolina e rende la zona ancor più simile ad una prateria desolata. Dopo la sosta ci incamminiamo lungo la I-40/Route 66 che, come successo ieri, è un tutt’uno. Giusto il tempo di fare un’altra piccola sosta ad Adrian presso il celebre Midpoint e quindi riprendiamo. Causa Covid, c’è davvero pochissima gente attorno e anche nel famoso caffé. Con l’immancabile guida di Roberto Rossi (Route 66, il Mito Americano) decidiamo di fare sosta presso la ghost town di Glenrio dove la Route 66 si allontana per una decina di miglia dalla I-40 ed entra nel New Mexico. Questo mentre usciamo finalmente dalla nebbiolina e il cielo si tinge di un azzurro accecante. Da qui in poi il paesaggio tende a diventare via via sempre più desertico, con rocce al posto della vegetazione. Proseguiamo per una mezz’oretta fino ad arrivare alla carinissima Tucumcari dove ci sono un po’ ovunque graffiti colorati inneggianti la Route 66 e dove si trova il romanticissimo Motel Blue Swallow. Essendo ancora pieno giorno, decidiamo di proseguire fino a giungere a Santa Rosa. Decidiamo quindi di evitare la deviazione per Santa Fe per dirigerci invece verso Albuquerque e da lì infine verso i paesaggi lunari di Laguna e Acoma Pueblo. Complice la giornata limpida con aria secca tipica di queste zone che si trovano tra i 1500 e i 2000 metri di altitudine, i colori del paesaggio sono spettacolari. Per raggiungere Acoma Pueblo si deve lasciare la Route 66 e deviare verso sud per 12-13 miglia. Lungo la strada ammiriamo una decina di cavalli selvatici che corrono tra le distese di rocce attorno alla strada che taglia in due la valle. A rendere ancor più sublime il paesaggio, nuvoloni neri all’orizzonte e un arcobaleno tra le rocce!!! Dopo una sosta fotografica facciamo inversione per ritornare sulla Route che ancora una volta si mescola con la I-40, fino ad arrivare a poche miglia da Gallup dove ci fermiamo per un salto presso il Red Rock Park, giusto il tempo di fare qualche foto. Il rosso del sole ormai quasi al tramonto rende i colori ancora più vivaci ma ci spinge a cercare un posto dove pernottare a Gallup nonché per mangiare. Qui le restrizioni per Covid sono molto rigide e dopo aver gironzolato per un po’, troviamo finalmente un albergo che ci accoglie (per legge possono ospitare fino al 25% di capienza massima). Scopro con piacere che il Best Western che ci ospita è proprio dietro il celebre El Rancho Hotel, anche questo, ahimè, soggetto a forti restrizioni. Per cena ci dobbiamo invece accontentare di una pizza d’asporto che consumiamo in camera. La stanchezza di questi 3 giorni (siamo solo a metà) comincia a farsi sentire, soprattutto per le bimbe che crollano subito dopo aver mangiato. I giorni a seguire saranno però più leggeri con meno miglia da fare e più posti da visitare. 

Giorno 4 – Domenica 22 novembre 2020 – Gallup (NM)  Flagstaff (AZ), 370 miglia, circa 7 ore nette.

L’albergo offre colazione nel sacchetto, per cui ne approfittiamo e mangiamo in camera. Fuori l’aria è frizzante, siamo attorno allo zero. Ci incamminiamo con calma viste le ore in meno che ci aspettano questo quarto giorno di viaggio lungo la I-40 che, ancora una volta, ricalca il vecchio tracciato della Route 66. Entriamo in Arizona e mano a mano il deserto da giallognolo si tinge sempre più del rosso tipico dell’Arizona. Raggiungiamo l’uscita 311 che porta all’ingresso del Petrified Forest National Park, paghiamo i 25$ del ticket di ingresso e dopo nemmeno un minuto e un paio di curve comincia lo spettacolo: il Tiponi Point, una terrazza che affaccia su una distesa di dune rosse alle quali si può facilmente accedere. Infatti io e la mia piccola di 6 anni ci avventuriamo. Come noi, una decina in tutto di altre persone. Tornati il auto, il percorso prosegue con altri punti panoramici dai quali si può apprezzare il Painted Desert con i colori che variano dal rosso, al grigio passando per un blu chiaro (Pintado Point, Whipple Point, The Tepees, Blue Mesa). La Petrified Forest Road continua fino alla Crystal Forest, dove si possono ammirare, lungo i sentieri, pezzi di tronco pietrificati, per poi concludersi nella 180 dove c’è l’entrata Sud del Parco. In totale l’intero percorso all’interno del Petrified Forest National Park conta circa 80 miglia (poco meno di 2 ore).  La 180 porta dritto a Holbrook ma decidiamo di proseguire verso Nord per circa 50 miglia lungo la 77 per un salto nella zona dei Navajo. Anche qui strade praticamente deserte che tagliano il deserto nel quale si stagliano di tanto in tanto piccole cime montuose. Rifacciamo la strada in senso opposto per raggiungere Holbrook e fermarci per un po’ di foto nel piazzale del Wigwam Motel. Qui sorgono le tepees indiane bianche che ospitano le camere circondate da macchine d’epoca. Il tempo di sgranchire le gambe e riprendiamo la strada verso Ovest. Differentemente da quanto accadeva in Texas, qui in Arizona, ma anche nel New Mexico e come poi scopriremo in California, ad ogni uscita della I-40 per le varie cittadine/villaggi sorti lungo Route 66, sono sempre prontamente segnalate con cartelli appositi indicanti “Hystoric Route 66”… Era così per Holbrook, lo è per la successiva Joseph City e quindi per Winslow. Praticamente tra l’uscita Est e la Ovest di ogni cittadina ci sono circa 2-3 miglia, per cui basta uscire dall’Interstate per ritrovarsi direttamente sul vecchio tracciato della Route 66, attraversare il centro per poi rientrare in autostrada. Winslow è davvero carina, ci fermiamo in centro per fare quattro passi e raggiungere la statua “Standin’ on the corner” e fare una foto giusto al centro dell’incrocio dove è dipinto lo stemma gigante della Route. Di nuovo in auto, uscita 233 dell’I-40 verso il famoso Meteor Crater. Lungo la strada, varie auto provenienti dal senso opposto ci fanno segni strani, alla fine capiamo il perché soltanto una volta arrivati a destinazione, cioè dopo circa 8 miglia: l’attrazione è chiusa causa Covid e non è possibile visitarla né tanto meno sbirciare il cratere da fuori. Torniamo indietro, riprendiamo la I-40 e usciamo di nuovo dopo circa 14 miglia per fare due foto alle divertenti Twin Arrows che sorgono accanto alle rovine di una vecchia stazione di servizio con annesso caffé, anch’esso ridotto ormai ad un ammasso di macerie. Siamo praticamente alle porte di Flagstaff dove ceneremo e pernotteremo. In realtà avremmo voluto fare tappa notturna Sedona, magari allo Sky Ranch come suggerito dalla guida, ma alla fine cambiamo idea preferendo risparmiare l’indomani una buona ora per raggiungere il Gran Canyon, quindi facciamo giusto una trentina di miglia verso Sedona, ammirando un paesaggio tipico montano e meno desertico, ricco di alberi e vegetazione, lungo i tornanti stretti della strada che si addentra nello Slide Rock State Park. Ci fermiamo ad una piazzola dove si trova una sorgente di acqua gelida e via! Inversione ad U verso Flagstaff. Ci fermiamo in un hotel verso il centro, moglie e bimbe stanche impongono una cena in camera che mi affretto a ritirare presso il vicino Texas Roadhouse. Durante la cena, mi studio il percorso dell’indomani, verificando eventuali chiusure e bene faccio… Avrei voluto raggiungere il South Rim del Gran Canyon dalla porta Est, percorrendo da Flagstaff la 89 e quindi la Desert View Drive (64) per costeggiare tutto il Canyon ma scopro che la porta Est è chiusa e mi trovo quindi costretto a rifare l’itinerario daccapo.

Giorno 5 – Lunedì 23 novembre 2020 – Flagstaff (AZ)  Kingman (AZ) 325 miglia, circa 6 ore e mezzo nette.

Sveglia alle 8 e mi precipito ad un vicino Starbucks per prendere e portare la colazione in camera, anche questo hotel non aveva colazione da offrire. Ci aspetta il Gran Canyon! Ci mettiamo alle 9.15 in auto lungo la ormai familiare I-40 per una trentina di miglia, uscita 165, sulla 64 direzione Nord. La strada è rettilinea e ancora una volta l’aria secca e limpida permette di intravedere nitidamente sullo sfondo le rocce del Canyon che distano comunque 50 miglia! Arriviamo al gate, una specie di casello autostradale dove si paga l’ingresso al parco e ci accorgiamo che c’è un bel movimento di gente. Non entriamo nel Gran Canyon Village ma preferiamo proseguire lungo la 64 che vira verso Est, costeggiando il canyon e lungo la quale si trovano i vari view points che consentono di godere del panorama più famoso del mondo. Li facciamo tutti fino quasi a giungere alla porta Est in corrispondenza del Navajo Point: poco prima la strada sarà infatti sbarrata come sapevamo. A questo punto, dopo più di due ore trascorse ad ammirare lo splendore offerto dai vari view points, facciamo dietro-front percorrendo la strada in senso opposto fino ad arrivare a Williams, sulla Route 66, ma comunque non prima di una piccola sosta mangereccia. La I-40/Route 66 scende un poco, di circa 400 metri di altitudine, verso una valle ampia dove sorgono la stessa Williams, Ash Fork e quindi Seligman. Poco prima di Seligman la Route 66 e la I-40 si separano per un bel tratto, per poi ritrovarsi a Kingman dopo 90 miglia circa. La I-40 corre infatti dritta verso Ovest, la Mother Route disegna invece un doppio arco puntando prima verso NW poi verso SW, poi di nuovo verso NW e quindi ancora SW, attraversando il deserto interrotto ogni tanto da cumuli di roccia. Giungiamo a Kingman attorno alle 17 e qui pernotteremo dopo aver cenato con un pollo allo spiedo e insalata comprati velocemente da Walmart. Il giorno dopo ci aspetta il deserto del Mojave e finalmente, ma anche un po’ a malincuore, l’arrivo a Los Angeles!

Giorno 6 – Martedì 24 novembre 2020 – Kingman (AZ)  Los Angeles (CA) 340 miglia, circa 7 ore nette.

Questa mattina ce la siamo presa comoda svegliandoci dopo le 8.30. Non c’è molta strada da fare… dopo colazione, attorno alle 10, lasciamo Kingman e proseguiamo verso Oatman. Anche in questo caso, la I-40 e la Route 66 si separano per un po’ di miglia. La strada verso Oatman corre dapprima dritta lungo il deserto poi, in corrispondenza delle montagne (la parte iniziale delle Black Moutains), si presenta piena di curve, anche strette dove in passato, si dice, parecchie persone ebbero seri incidenti perfino fatali. Tuttora molti tratti curvosi sono sprovvisti di barriere. La prima sosta è presso la Cool Springs Station, una carinissima stazione di servizio ristrutturata, con le colonnine che sorgono sotto una struttura in pietra. Accanto c’è un negozietto di souvenir e gadgets vari. La strada continua a inerpicarsi, il panorama è mozzafiato tra spuntoni di roccia scura che sorgono attorno al beige del deserto. Raggiungiamo il valico e la strada comincia a scendere pian piano fino ad arrivare ad Oatman lungo le cui strade polverose speravamo di scorgere i famosi asini che rendono tale villaggio celebre e invece, nulla. Quindi proseguiamo e davanti a noi si apre il deserto del Mojave il quale ci terrà compagnia per qualche ora. Giungiamo così a Needles che sorge proprio a ridosso del confine con la California, una volta attraversato il Colorado River. Anche qui la Route 66 e la I-40 per un bel tratto sono la stessa cosa, per una cinquantina di miglia per poi separarsi. Ovviamente decidiamo di seguire la Route 66 e ammirare e gustare il deserto lontano dai rumori tipici autostradali! La strada taglia in due il deserto attraversando vecchi villaggi fantasma come Chambless, Amboy, Bagdad. Degno di nota ad Amboy resta il vulcano che si lascia ben ammirare visto il suo colore scuro in mezzo ad un mare di giallo/beige. Ci avviciniamo ad esso solo per fare qualche foto e poi proseguiamo. Giunti a Ludlow la Route 66 corre parallela alla I-40 fino a Barstow. Qui la I-40 confluisce nella I-15 che porta nella piana di San Bernardino. Attraversiamo Barstow, una piccola cittadina davvero carina e ci dirigiamo verso Helendale, dove, sempre suggeriti dall’inseparabile guida di Roberto Rossi, faremo tappa al Bottle Tree Ranch. Putroppo, causa Covid, l’attrazione è chiusa al pubblico ma si può comunque ammirare dall’esterno questo posto speciale e fiabesco. Le bimbe non volevano più andar via rapite dal fascino di tutte quelle bottiglie e ferraglie varie. Giunti a Victorville la Route 66 si butta nella I-15 puntando verso San Bernardino e scendendo dall’altopiano che ci accompagnava sin dal New Mexico. Lungo la discesa le due strade tendono a separarsi ma comunque, visto il traffico sempre più intenso, decidiamo di salutare la Mother Route e di proseguire verso Los Angeles via I-15 e I-10. D’altro canto, avevo già deciso di non percorrere il trafficatissimo tratto finale San Bernardino – Santa Monica per non perdere la magia del deserto che ancora avevamo negli occhi. Un po’ a malincuore ma al tempo stesso felici di essere arrivati a casa dei nostri amici, si chiude questo sesto giorno di viaggio con l’arrivo a Los Angeles.
Il giorno dopo, tappa ad Hollywood e Santa Monica per aggiungere le ultime foto iconiche al nostro viaggio. Poi tre giorni di riposo e domenica 29 il ritorno verso la Georgia!

Ringrazio di cuore Luca e la sua splendida famiglia per aver condiviso con noi il suo viaggio, le sue parole, le sue foto e le sue emozioni. È stato un piacere viaggiare con te, accompagnarti con il mio libro e ammirare il tuo video.

#1
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