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Può sembrare strano, ma durante la seconda guerra mondiale alcuni Nativi Americani sono venuti in europa per combattere a fianco degli alleati e qui sono morti.

È quasi paradossale che abbiano dato la loro vita per difendere la terra di chi secoli prima giunse nella loro, togliendogliela e sterminandoli.
Si ritiene che siano stati uccisi su suolo americano tra i 55 e i 100 milioni di Nativi Americani un genocidio senza eguali nella storia, un numero pazzesco anche confrontato all’olocausto europeo avvenuto tra il 1933 mil 1945 che conta 17 milioni di morti.

Il Gradara War Cemetery

In Italia esistono svariati cimiteri di guerra dove riposano anche Indiani d’America e noi ne abbiamo visitato uno ai piedi di Gradara.
Il Gradara War Cemetery, ben tenuto e gestito dalla Commonwealth War Graves Commission si trova nelle Marche e ospita 1191 soldati appartenenti alle forze armate del Commonwealth costituenti l’Ottava Armata britannica e belga, caduti nel corso della campagna d’Italia nella seconda guerra mondiale nel settembre del 1944.
La lista completa dei caduti è consultabile qui.

Si arriva nel luogo di sepoltura comodamente in auto, qui un piccolo parcheggio permettere di lasciarla ed entrare per rendere omaggio ai caduti. Al suo interno 8 gradoni ospitano le salme con incisi nomi, date e altre informazioni.

Tomba di Francis Nadjiwan

Una delle tombe ha attirato la mi attenzione, è quella di Francis Nadjiwan (Ojibawa) morto a soli 20 anni il 13 settembre del 1944, è possibile trovarla nel terzultimo gradone a sinistra (F, 44). Nel Visitor Book, all’ingresso, una cartina  permette di trovare ognuno dei caduti. A questo link è presente la pagina del libro che commemora i caduti in cui è visibile il nome di Francis Nadjiwan.

I Nativi Americani sepolti nei cimiteri alleati romagnoli

Sono svariati, noi abbiamo visitato solo quello di Gradara con la tomba di Francis Nadjiwan, ma la lista è lunga:
Altri tre sono a Coriano: Solomon Cardinal di 21 anni, Cree, Francis Pictou di 33 anni, Eel River Band, Albert Joseph Saddleman di 34 anni, Prima Nazione Okanagan; sei a Cesena: Isadore Pedoniquott di 29 anni, Ojibwa, Lawrence Stonefish di 37 anni, Delaware Moravians, Huron Eldon Brant di 34 anni, Mohawk, Roland Nahwegezhic di 21 anni, Shequindash, William Alvin Beeswax di 23 anni, Munceys of the Thames Band, Joseph Alan leonard di 20 anni, Kamloops Band; sette a Ravenna: Wilfred Contin di 21 anni, Ojibwa, Peter Bignell di 33 anni, Cree, Joseph Flavien di 28 anni, Cree, Thomas Beat di 26 anni, Cree, James Edward Grinder di 22 anni, James Hunter di 24 anni, Herbert Prince di 28 anni, Nak’azdli.
Molti altri se ne trovano in tutta Italia. I cimiteri di guerra sono molti e seppure spesso poco visibili raccontano la storia drammatica e onorevole di chi ha dato la propria vita per liberare il mondo dall’oppressione nazista.

Edwin Akiwenzie, Ernest Akiwenzie, Francis Nadjiwon, Charlie Nadjiwon, Alfred McLeod, Leonard Nadjiwon

Il concetto di morte per i Nativi Americani

Molti dei nativi del Nord America, furono nomadi o seminomadi con un legame particolare con la Terra in tutti i suoi aspetti ed elementi.
Per loro il concetto di Morte non è inteso come “fine” di qualcosa ma una tappa del cerchio sacro, il simbolo che rappresenta la manifestazione di Wakan-Tanka, il Grande Mistero, che per tutti i Nativi d’America è la massima divinità.

Il passaggio dalla vita alla morte è quindi un viaggio nel quale, chi rimane sulla terra, non si sente mai abbandonato grazie alla presenza di spiriti guida che si palesano sotto forma di animali o forze soprannaturali e assumono nomi diversi in relazione alla tribù che li venera. Ognuna delle quali ha delle variazioni anche sul concetto stesso di morte anche se il cerchio sacro rimane il punto fermo.
I Sioux, ad esempio, ritengono che una persona in punto di morte possa vedere il futuro, mentre gli Arapaho sono in grado di prevedere la propria morte quattro giorni prima che questa giunga.

Anche la sepoltura ha sempre avuto un ruolo importante, ovviamente i morti vengono seppelliti nella terra con offerte in cibo e oggetti di uso quotidiano.

Lo scalpo, azione spesso compiuta dai Nativi Americani verso i loro nemici, comportava il fatto che lo spirito della persona uccisa restasse sulla terra a disturbare i vivi; talvolta causando malattie e morte.


Roberto Rossi

ROBERTO ROSSI (Arezzo 1971) si diploma in elettronica nel 1990, ma fin da subito manifesta il suo interesse per la fotografia ed i viaggi, anche grazie al papà fotografo ed a tanti amici viaggiatori.
"Ricordo ancora quando da piccolo mi recavo nell'agenzia viaggi del mio paese a prendere le brochure appena arrivate, mi bastava aprirne una per iniziare a viaggiare con la mente. Poi per fortuna all'eta di 16 anni il mio primo viaggi in Marocco, da li un susseguirsi di emozioni ed avventure in tutto il mondo."

Roberto ha sempre dimostrato un'attrazione particolare per gli USA, nazione che conosce profondamente, dalle grandi città dell'est, una su tutte New York City, ai grandi parchi dell'Ovest, non ultima la strada che lo ha cambiato per sempre, la Route 66, per la quale pubblica la sua prima opera "Route 66 il mito Americano" - edizioni Amazon, nel 2017.
Artista, viaggiatore, motociclista, tutte passioni che esprime nel suo blog Vegani in Viaggio e nelle pubblicazioni ricche di foto e curiosità, ma sempre essenziali ed estremamente efficaci, niente di superfluo, tutto pensato per aiutare il viaggiatore.
Vegano da molti anni, amante della Natura e degli animali, ha un amore particolare per i gatti con cui condivide da sempre la sua vita.

Nel 2021 è diventato USA AMBASSADOR, specialista of the United States of America, un riconoscimento prezioso di Visit USA Italia.

La passione per la fotografia, i viaggi e la grafica (sua principale attività), regalano un mix sempre attento e funzionale in ogni opera realizzata, Roberto ama chiudere spesso i suoi racconti scritti o narrati con una frase che esprime tutta la sua passione per la vita e le avventure in giro per il mondo:
"Buon viaggio ovunque la vita vi porti!"

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